ESISTONO I BAMBINI MALEDUCATI?

Un bambino nei primi anni di vita (2-3-4 anni) esterna il suo malessere attraverso la manifestazione, ed a volte “l’esplosione”, di un’emozione, che può essere definita dall’adulto maleducazione.

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A quest’età il piccolo ha ancora un basso livello di autocontrollo, modalità che abbandona durante la crescita, diventando capace di riconoscere le sue emozioni e di esprimere con chiarezza i suoi desideri.

L’ adulto ha il compito di saper intervenire al momento giusto dicendo anche dei “no”, spiegando al bambino che il mondo non gira intorno a lui, e lui deve imparare a comportarsi rispettando le regole: queste gli servono a farlo sentire più sicuro e tranquillo, oltre che a proteggerlo.

I genitori dovrebbero essere autorevoli, mai autoritari, e interpretare il disagio del proprio figlio facendoglielo superare con la loro vicinanza.

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I comportamenti positivi vanno sempre rafforzati, i comportamenti scorretti educati.

Mai dire al piccolo ‘sei maleducato, sei uno scemo, non sei capace’.

Un genitore che gestisce nel giusto modo le proprie emozioni trasmette sicurezza al bambino.

VIOLENZA ALL’ INTERNO DELLA COPPIA

Siamo abituati a vedere, a pensare la coppia in termini positivi, associarla ad amore e accoglienza e al principio della famiglia come luogo privilegiato d’amore e di protezione. Abbiamo la tendenza a pensare famiglia e violenza come due termini che si autoescludono. Eppure ancora oggi dai silenzi delle famiglie emergono sofferenze di violenze fisiche, psicologiche e sessuali spesso tollerate, coperte e legittimate da una cultura che ha sempre difeso l’istituzione familiare.

Occorre prestare attenzione e NON SCAMBIARE il termine “violenza domestica” con il termine “conflitto tra i coniugi”. Il conflitto, come lo suggerisce la parola confliggere, tende all’incontro tramite un confronto, una dialettica, reciprocità e corresponsabilità. Nella violenza queste condizioni sono assenti, mancano la reciprocità e la relazione. La violenza domestica poggia sull’asimmetria relazionale, sulla sopraffazione e sul maltrattamento dell’altro, che porta a sperimentare emozioni di terrore e paralizzanti.

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Nella violenza domestica sono presenti diversi tipi di violenza:

  • Violenza fisica

  • Violenza psicologica

  • Violenza sessuale

  • Violenza economica

Il ciclo della violenza

Secondo la Teoria del ciclo della violenza (Cycle Theory of Violence) all’interno della relazione maltrattante si verificano delle fasi che si ripetono ciclicamente (Walker, L.E., 1979):

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  1. Fase di origine della tensione;

  2. Fase attiva degli episodi di violenza;

  3. Fase della contrizione amorosa.

  1.   FASE DI CRESCITA DELLA TENSIONE

Anche la relazione maltrattante nasce, come tante altre, dall’amore reciproco e segna un percorso all’inizio che possiamo definire del tutto normale. La violenza si instaura all’interno della coppia per gradi, con tensioni ed ostilità. Questi primi segnali vengono sottovalutati dalle donne e a volte non vengono neanche identificati. Così la Fase di crescita della tensione è perlopiù caratterizzata dalla violenza psicologica, colpendo l’autostima e dignità della donna. Il partner maltrattante usa spesso comportamenti indiretti, soprattutto tramite la comunicazione non verbale con i gesti, mimica, silenzi ostili, sbattere le porte o gli oggetti, ignorando la partner, svilendola, ridicolizzandola davanti agli altri. Questi comportamenti indeboliscono la donna, la rendono stressata, la privano di energia vitale. L’accondiscendenza della donna con lo scopo di non far arrabbiare il proprio partner ha come effetto la convinzione in lui di un diritto di agire in questo modo.

       2.   FASE DI ESPLOSIONE E DI AGGRESSIONE

Secondo Lenore E. Walker si arriva così alla Fase di esplosione e di aggressione che è caratterizzata dalla perdita di controllo da parte dell’uomo che mette in atto la violenza fisica. Anche in questa fase si può osservare una crescita graduale delle azioni, a cominciare dagli spintoni, schiaffi per aggiungere poi pugni, calci e percosse con oggetti, uso d’armi fino all’uxoricidio. In questa fase a volte si può verificare anche l’uso della violenza sessuale per sottolineare il proprio dominio e potere sulla partner. L’inizio, la durata e la fine della fase di esplosione è imprevedibile e non dipende dalla donna e dai suoi comportamenti, anche se spesso i partner maltrattanti cercano di indurre sensi di colpa o di inadeguatezza nelle loro vittime per legittimare così le proprie azioni. Intanto con il tempo e con il ripetersi delle esperienze di violenza nella vittima si instaura un senso di impotenza appresa (learned helplessnes). Le emozioni provate dalle donne in quel momento sono rabbia, delusione e voglia di uscire dalla relazione.

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     3.   FASE DI CONTRIZIONE AMOROSA

L’uomo maltrattante in realtà non vuole perdere la partner. Si mostra dispiaciuto e pieno di rimorsi per l’accaduto, richieste di perdono e di promesse di cambiamento con atteggiamenti di affetto e attenzioni. A volte fa gesti di straordinario romanticismo e platealità con tanto di fiori e regali, per riconquistare la donna. Così ha luogo la Fase di contrizione amorosa ovvero la Fase della luna di miele.

Queste tre fasi si ripetono ma anche crescono di intensità nel tempo dando luogo ad una spirale di violenza. Si osserva che la fase dell’esplosione diventa col tempo sempre più brutale e sempre più imprevedibile, mentre la fase della luna di miele diventa sempre più breve fino a scomparire. Ai maltrattamenti psicologici e fisici si aggiungono spesso quelli economici, privando la donna di mezzi e di possibilità di un’autonomia e rendendola più paralizzata ed impotente di fronte alle violenze subite.

Il processo del ciclo della violenza fa sì che le donne spesso rimangono come impigliate nella ragnatela di questo susseguirsi di comportamenti praticamente opposti tra loro. La fase dell’aggressività genera molta rabbia nelle donne e proprio in quel momento spesso accedono al pronto soccorso o chiedono aiuto. Invece la fase della contrizione amorosa e delle richieste di perdono le lasciano spesso non solo intenerite, ma anche confuse e disarmate. Per questa ragione è molto complicato per gli altri capire perché le donne subiscono a lungo senza denunciare i comportamenti violenti dei loro partner.

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GIORNATA MONDIALE DELL’ALZHEIMER

Il 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, giornata istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994. Tale occasione è utile e importante per fare il punto della situazione, delle tappe raggiunte dalle ricerche, dei pregiudizi che spesso accompagnano questa malattia e per guardare agli obiettivi futuri.

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Ma che cos’è l’Alzheimer?

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L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, che va ad intaccare e distruggere le cellule del nostro cervello. E’ la più diffusa tra le demenze, e se colpisce oggi nel mondo circa 50 milioni di persone (600 mila in Italia), a causa dell’invecchiamento della popolazione mondiale nei prossimi 30 anni i malati diventeranno circa 130 milioni, con conseguenze anche economiche e sociali.

Tra i sintomi più evidenti troviamo problemi di memoria, difficoltà cognitive, difficoltà di orientamento nel tempo e nello spazio, difficoltà di linguaggio, riduzione delle attività sociali, sintomi che portano alla riduzione dell’autonomia della persona colpita da questa malattia, con conseguente ricaduta sulle famiglie.

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Nonostante l’Alzheimer sia sempre più diffuso, sono molti i pregiudizi e le idee erronee che accompagnano la malattia. Nel 2019 il Rapporto Mondiale Alzheimer evidenzia come 2 persone su 3 siano convinte che la demenza sia una normale conseguenza dell’invecchiamento, ed il 25% della popolazione ritiene che non si possa fare nulla per prevenire la demenza.

Se trovare una cura oggi è difficile, in quanto l’Alzheimer è una malattia complessa i cui sintomi si manifestano quando la malattia ha già colpito la persona da tempo in modo invisibile, la ricerca sta progredendo, e ad oggi risultano fondamentali una diagnosi precoce e la prevenzione.

Una diagnosi precoce permette di distinguere l’Alzheimer da altre forme di demenza e di proporre interventi adeguati e mirati.

Oggi, lo strumento migliore per contrastare la malattia è la prevenzione: secondo la Società Italiana di Neurologia, condurre uno stile di vita sano, praticare attività fisica, ridurre i fattori di rischio (quali ad esempio diabete, obesità, fumo, ipertensione) ed incrementare le attività sociali e cognitive sono i migliori elementi per rallentare o ridurre la patologia.

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IL BULLISMO

Con il ritorno a scuola potrebbero verificarsi atti di bullismo.

Cos’è il bullismo?

Si tratta di un fenomeno molto complesso, che si verifica quando si evidenziano dei comportamenti provocatori che durano nel tempo e coinvolgono dei soggetti sia in qualità di bulli che di vittime.

I protagonisti coinvolti sono tanti: il bullo con il ruolo di leader, i gregari che seguono le indicazioni del bullo, e i sostenitori, ovvero coloro che sostengono l’azione del bullo.

La vittima invece è colui che subisce senza reagire oppure che provoca e infastidisce il bullo.

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Il coinvolgimento sistematico in situazioni di bullismo può avere effetti negativi sullo sviluppo psico – emotivo di colui che le subisce, che può manifestare ad esempio il rifiuto di andare a scuola o un calo dell’autostima.

Per il bullo le conseguenze possono essere comportamenti antisociali o disturbo della condotta.

Per contrastare le dinamiche relazionali negative, risulta fondamentale l’intervento sistematico e coerente degli adulti investiti di un ruolo educativo, che saranno accompagnati da uno psicologo che si occupa di favorire il racconto di episodi di bullismo, che riduce l’indifferenza al problema ed aiuta il bullo e la vittima a relazionarsi in modo positivo e a comunicare con sicurezza.

RICOMINCIA LA SCUOLA…

La scuola degli insegnanti, degli studenti e dei genitori sta per ripartire.

Oggi parliamo di quelle situazioni nelle quali può capitare che alcuni studenti non seguano di pari passo, con i ritmi ed i tempi dei loro compagni di classe, il programma presentato con professionalità da parte degli insegnanti.

Questo aspetto può rappresentare un campanello d’allarme: tutti insieme, genitori e insegnanti, si devono porre la domanda ‘perché sembrano esserci delle difficoltà?’, senza accusare lo scolaro di poca voglia verso lo studio.

Uno scarso rendimento scolastico o una difficoltà nel mantenere l’attenzione a scuola per lunghi periodi di tempo potrebbero essere ad esempio legate ad un disturbo specifico di apprendimento (DSA), che può manifestarsi in difficoltà nella lettura, nella scrittura, nel calcolo o nella comprensione del testo.

 

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Si parla di disturbo specifico di apprendimento in quanto le difficoltà che lo scolaro manifesta si presentano in persone che hanno un’intelligenza nella norma e che mostrano delle difficoltà esclusivamente in un’abilità specifica (per questo si parla appunto di disturbo specifico dell’apprendimento).

Si tratta dunque di abilità, quali quelle di lettura, calcolo, scrittura, che vengono acquisite dai bambini in età scolare, nei primi anni della scuola Primaria, e che a volte possono essere per così dire carenti, portando alla diagnosi di dislessia, disgrafia, discalculia, disortografia o disprassia.

I DSA interessano studenti che in genere non hanno disabilità particolari, tuttavia un disturbo specifico di apprendimento può rendere difficile la vita a scuola degli studenti se non vengono supportati nella maniera corretta.

Ricordiamo che per i DSA non è necessaria l’insegnante di sostegno, si ha però diritto, in base alla legge 170 del 2010, a strumenti didattici e tecnologici di tipo compensativo.

Per confermare tale disturbo è necessario fare le verifiche giuste nei centri pubblici o privati convenzionati.

LA PAURA DEI BAMBINI

La paura è un’emozione presente nei bambini sin dalla nascita, rientra nel gruppo delle emozioni primarie quali: gioia, sorpresa, tristezza, rabbia.

La paura è un sistema adattivo che modula il rapporto tra l’ambiente e l’organismo, favorendo la sopravvivenza.
Le emozioni, quindi, sono la risposta dell’individuo alla percezione di uno stimolo esterno, si attivano quando il cervello percepisce un segnale proveniente dall’ambiente in cui si vive. 
I bambini possono manifestare diverse paure: la paura dell’abbandono, del buio, della morte, ecc.
La paura è un’emozione importante, perché ci aiuta a rispondere nelle diverse circostanze, come ad esempio nel caso di pericolo percepito. 

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Come affrontare le paure dei bambini? 
Chi si prende cura dei bambini ha il dovere di fare attenzione ai messaggi che essi ci inviano, in modo particolare a quelli non verbali, cioè non espressi con le parole: gesti, capricci, insonnia, enuresi, pianti prolungati, piagnucolare, dito in bocca.
Nei casi in cui i bambini si mostrano molto spaventati diviene utile stargli vicino, aiutandoli ad esternare il loro malessere. 


La lettura di fiabe, favole, racconti può rappresentare un buon modo per far elaborare le paure ai nostri bimbi, poiché in queste storie le emozioni sono espresse in modo tale che i piccoli possono identificarle, riconoscerle e comprenderle.
Diviene molto importante accogliere le paure dei bambini in modo empatico, senza essere superficiali, quando essi ci rivolgono delle richieste di aiuto.
Affinché i piccoli possano esprimere le loro preoccupazioni, devono essere certi che gli adulti siano pronti ad ascoltarli.

15 FEBBRAIO: GIORNATA MONDIALE CONTRO IL CANCRO INFANTILE

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Il 15 febbraio si celebra la Giornata mondiale contro il cancro infantile. Tale giornata, istituita nel 2002 dall’associazione Childwood Cancer International (CCI), ha lo scopo di rendere questo tema una priorità globale.
Ogni anno infatti viene diagnosticato il cancro a oltre 300mila ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni.
Secondo i dati forniti dall’OMS, nei paesi più ricchi l’80% dei bambini affetti dal cancro riesce a guarire, percentuale che nei paesi più poveri si abbassa al 20%. I motivi di queste discrepanze risiederebbero nelle difficoltà, nei Paesi a basso reddito, di ricevere una diagnosi accurata, dell’inaccessibilità delle terapie, nell’abbandono dei trattamenti a causa dei costi troppi elevati.
Una diagnosi precoce, soprattutto tra la popolazione più giovane, può aumentare le probabilità di rispondere in maniera efficace ai trattamenti.
Sono tre le componenti principali di una diagnosi precoce:
– la consapevolezza da parte delle famiglie
– la valutazione clinica
– l’accesso ai trattamenti.
Gli obiettivi della campagna del 2019 sono:
NO MORE PAIN, nessun’altra sofferenza
NO MORE LOSS, nessun’altra perdita per i bambini e le loro famiglie.
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In occasione di questa giornata importante, a Genova presso la Sala Convegni dell’Acquario, sabato 16 febbraio si terrà il convegno nazionale UNITI PER GUARIRE. Ricerca, Cura, Futuro: parole chiave in oncoematologia pediatrica’, che prevede due sessioni pomeridiane:
– una affronterà la tematica delle infezioni da germi resistenti
– la seconda ospiterà il “Primo convegno nazionale dei guariti da tumore pediatrico”.
In questa occasione sarà presentato il “Passaporto del Guarito”, uno strumento che intende mettere in grado ogni ex paziente pediatrico di avere un follow-up personalizzato.

Lo studente con la sindrome di autismo

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Per disturbi dello spettro autistico si intendono una serie di problemi che colpiscono le abilità sociali e di comunicazione, in misura differente, ed anche le abilità motorie e linguistiche.

Si tratta di uno spettro variabile, che può comprendere sia persone con alto quoziente intellettivo che con ritardo mentale.

Le cause risultano ancora sconosciute, tuttavia molteplici ricerche evidenziano che esiste una multifattorialità di conseguenze genetiche, organiche, o acquisite precocemente, le quali, seppur in modi diversi, potrebbero giustificare l’insorgenza del disturbo autistico.


I soggetti con questo disturbo richiedono tanta energia e attenzione da parte di chi si relaziona con loro, ma soprattutto richiedono “strategie specifiche” per stabilire una relazione positiva e per favorire gli apprendimenti e l’interazione con i compagni di classe.

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Pertanto è improduttivo e dannoso tentare forzature nei loro confronti, al contrario
bisogna essere sempre calmi e attenti.

Il BAMBINO SORDO PARLA!

Se il bambino ha problemi di udito si dovranno sicuramente affrontare delle sfide, ma con l’intervento precoce e la tecnologia moderna questi bambini possono vivere sani, felici e sono in grado di raggiungere il loro potenziale.
La perdita dell’udito può essere lieve, moderata, grave o profonda: ogni tipo richiede una protesizzazione diversa, fino ad arrivare all’impianto cocleare per le sordità più difficili.


I neonati sono tutti sottoposti allo screening uditivo, pertanto nel caso in cui si dovesse riscontrare il disturbo l’intervento è molto precoce.
Tutti i bambini attraversano le stesse fasi evolutive: nonostante ogni bambino si sviluppi con ritmi differenti, generalmente tutti raggiungono i traguardi fondamentali delle abilità comunicative intorno ai ventiquattro – trentasei mesi.


Se un bambino ha problemi di udito la funzione più importante che viene colpita è l’acquisizione del linguaggio naturale. 
È un fatto accertato che anche il bambino non udente ha le stesse innate capacità di apprendere la lingua di un bambino udente, se seguito nel modo appropriato da un team di professionisti: audiologo, audiometrista, logopedista, psicologico dell’età evolutiva. In ogni caso lo sviluppo del linguaggio avviene soprattutto in famiglia.

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Il bambino sordo è solo sordo, non è anche muto, per questo il commendatore Silvana Baroni si è battuta affinché fosse cambiata la dicitura “sordomuto” dalla legislazione italiana e fosse sostituita con il termine ” muto” attraverso la legge n. 95 del 20/02/2006.


Diviene allora importante che i genitori parlino spontaneamente con il bambino: anche se la protesizzazione non è ancora perfetta e il bambino non riesce a sentire proprio tutto, il suo apparato fonatorio funziona perfettamente, ed è quindi importante stimolare il bambino il più possibile.
I genitori di un bambino con problemi di udito devono, quindi, interagire e parlare con lui in modo naturale.


Giocattoli e libri sono le cose più interessanti che aiutano a iniziare la conversazione e anche a fornire un linguaggio verbale ai gesti che il bambino usa mentre gioca e mentre sfoglia i libri.
Il lessico del bambino va sempre rafforzato durante la sua fare di crescita.
È importante non fare sentire diverso il bambino sordo con l’utilizzo di mezzi diversi dal linguaggio parlato.